Lo Chef Ivo Gavazzi con Carlo Bergonzi e le Chicche del Nonno

Continuiamo gli episodi della rubrica Piovono Anolini, con special focus sulla cucina parmigiana e sullo Chef che inventò la cucina verdiana e che fu eletto miglior cuoco d’Italia…

Siamo alla seconda puntata nel viaggio delle Memorie gastronomiche dello Chef Ivo Gavazzi – uno tra i padri della cucina parmigiana della seconda metà del Novecento.
Iniziato il percorso dall’età dell’infanzia, con la cucina “di necessità” che diventa rapidamente passione, siamo arrivati ai fornelli del ristorante del grande Bergonzi a Busseto, e a quei fornelli abbiamo assistito alla nascita delle Chicche del Nonno – così popolari da essere divenute un classico nazionale.

Vediamo quanto vale questo piatto nella considerazione dell’accademia, cosa succede nel cammino di un giovane cuoco che trova una rapida notorietà, e scopriamo cosa nasce dalla sua curiosità per la cucina storica del nostro territorio.

LE CHICCHE DEL NONNO VALGONO UN CUOCO D’ORO

Le Chicche della Nonna ed Ivo Gavazzi miglior cuoco d’Italia

Ai due Foscari, qualche tempo dopo vennero a mangiare dei signori dell’Accademia di Cucina di Parma. Assaggiate le chicche ci chiesero se volevamo partecipare al concorso del Cuoco d’Oro, assieme ad altri piatti. Le chicche dovevano piacere, perché con quel piatto arrivammo dritti in finale. La formula della fase finale del concorso era un cuoco per regione. 

Tocca dire che sbaragliai la concorrenza. Mi elessero miglior cuoco d’Italia.

Era il 1967, e avevo 25 anni.”

ALLA RISCOPERTA DELLE RICETTE DI CASA VERDI

Come scoprii la cucina verdiana dal ritrovamento del ricettario della cuoca di Giuseppe Verdi, Ermelinda Berni

“Dal 1968 ho lasciato i Due Foscari, con una enorme gratitudine, per iniziare il mio primo ristorante. Insieme a mio fratello rilevai il Sole di Busseto.

Da una parte volevo fortemente sperimentare. Dall’altra sentivo che c’era ancora molto da raccontare del mio territorio, attraverso i fornelli.

Il mio pensiero corse a Verdi. A dire il vero, non solo per ragioni di nascita.
Nel ristorante sedevano sempre molti turisti, tutti che si dichiaravano matti per Verdi. Scoprivo come la fama del maestro all’estero fosse incredibile.

Ad ogni modo, Verdi era in voga come non mai. Ma di ‘Verdi e cucina’, parliamo degli anni ’60, non posso dire che se ne sentisse dire. Tanto meno che fosse un tema culinario.
Gli appassionati del maestro sapevano della fama delle ricette di casa Verdi e come fossero state raccolte in modo organico, a suo tempo.

Il lunedì era il giorno di chiusura del ristorante. Mi misi così a girare per biblioteche.
A Busseto, a Soragna in rocca, in Palatina a Parma. Ero in cerca di queste antiche ricette, o almeno di qualche testimonianza storica.

E un giorno lo trovai, in una biblioteca del piacentino: il ricettario della cuoca di Verdi, di Ermelinda Berni.

Iniziai quindi a sperimentare con le vecchie ricette che avevo trovato. Per un verso bisognava reperire ingredienti ormai rari e inconsueti; per un altro mi sentivo di poter fare le mie interpretazioni della ricetta.

Perché, come apprendevo dai testi, la sperimentazione era parte integrante della cucina di Verdi stessa.
Anzi, possiamo dire che fosse una continua sperimentazione: di piatti rinascimentali, della tradizione francese arrivata con Maria Luigia, e di nuove idee.

Quindi, in quasi tutte le ricette verdiane che ho riproposto, ho inserito a mia volta una piccola interpretazione.
Spesso queste variazioni servivano per alleggerire di molto i grassi – così copiosi nelle antiche ricette – pur tenendo intatto il risultato di gusto.

Questo è il modo in cui ho fatto rinascere ai fornelli la cucina verdiana.”

Del primo menù verdiano ufficiale, e della sua presentazione al grande pubblico, nella prossima puntata delle Memorie Gastronomiche.

Le foto sono di proprietà di Ivo Gavazzi. Ringraziamo quindi per la gentile concessione.